La comunità del “7 di Agosto”

Amazzonia. 31 dicembre 2023

Tramonto sul Rio delle Amazzoni

Al confine dell’Amazzonia tra Colombia e Perù.

Abbiamo appena abbandonato la “Comunità del 7 di Agosto”, una delle ultime sul fiume Atacuari, un affluente del Rio delle Amazzoni e con la lancia solchiamo il Rio fino alla frontiera fluviale col Perù. Solo poco più di 100 turisti in tutta la storia sono stati qui e sono grato di essere uno di loro. Ci avviciniamo alla costa per attraccare davanti al megalite che segna il confine tra la Colombia e il Perù. Dalla palafitta di legno lì a fianco esce e ci accoglie Don Francisco, 82 anni, occhi azzurri e dalla pelle bruciata dal sole di quelle latitudini. È peruviano di nascita e vive lì da sempre. Lui e la moglie Donna Lidia, 78 anni e colombiana invece, che vediamo arrivare pagaiando su una canoa di legno, agile come se avesse vent’anni in meno – sono sposati solo da 10 anni ma vivono assieme da tutta la vita e hanno 15 figli precisa – sono i custodi della frontiera tra Perù e Colombia. In quella terra lontano da tutto e tutti vivono di agricoltura. Quando Don Francisco lo racconta, in piedi, leggermente ricurvo di fianco alla scritta “Real hasta la muerte” a me sembra incredibile che anni fa abbiano dovuto spostare la loro abitazione, solo di qualche metro, passando così dalla Colombia al Perù solo perché il governo colombiano non era riconoscente nei loro confronti che si prendevano cura del confine. Da quando sono in Perù, soltanto pochi metri più in là rispetto a dove vivevano prima hanno ottenuto un pannello solare e il riconoscimento del governo.

Donna Lidia – al confine tra Colombia e Perù

È un luogo insidioso perché è facile avvistare imbarcazioni di colombiani che vanno a raccogliere la coca nelle piantagioni in Perù – i “raspacines” – o quelle dei contrabbandieri che passano di lì per arrivare a commerciare droga in Brasile 140 km a sud-est seguendo il Rio delle Amazzoni.

È un luogo pieno di storie e contraddizioni che Don Francisco non vede l’ora di raccontare.

Lo spirito della Curupira

“Ero molto giovane quando vidi come una luce, lì, proprio lì” dice indicando la porta della palafitta di legno.

Sono seduto su una sedia di plastica dentro all’abitazione fermo immobile a causa del caldo umido sempre più insopportabile, Lidia annuisce, dondolando i piedi scalzi, come se fosse stata presente o forse perché ha sentito raccontare la storia della Curupira mille volte.

La Curupira è lo spirito protettore della foresta. Rapisce chi si avventura nella giungla con cattive intenzioni assumendo le sembianze dei suoi desideri e ingannando il malcapitato che per seguire la visione perde la via del ritorno e, posseduto dallo spirito, perde anche la ragione per sempre – “loco” afferma Francisco parlando di un cacciatore – cazador in spagnolo – che per commercio si era addentrato nella selva per rubare il caucciù in quell’epoca prezioso e si era imbattuto nella Curupira.

Don Francisco era certo di averla vista attraversare casa sua e gesticolando con le mani solcate da vene e profonde rughe indica di nuovo la porta di ingresso della palafitta.

Io stento a credere alla sua storia ma lui ne è così convinto che comprendo quanto le tradizioni millenarie di questi popoli siano riuscite a sopravvivere anche al cattolicesimo e alla cultura spagnola che 450 anni fa aveva conquistato l’Amazzonia.

Tradizioni indigene e il mondo moderno

È chiaro che le tradizioni indigene qui sono ancora molto radicate. Dopo aver salutato Don Francisco e la moglie Lidia, rientriamo nella comunità del 7 di agosto. Qui la medicina tradizionale, un tempo praticata dagli sciamani e che oggi ogni indigeno conosce, è ancora l’unica possibilità di cura perché non esistono ospedali se non a ore di distanza.

Qui è dove si praticano riti per scacciare il malocchio – malaire in lingua Tikuna (o ticuna), una delle Etnie indigene – dondolando i neonati completamente nudi affinché possano assorbire i fumi che derivano dal bruciare le corna delle mucche assieme ai petali della “rosacisa”.

Dove chi si addentra nella foresta non può toccare un bambino al suo rientro se prima non ha fatto un bagno purificatorio nel rio de Atacuari.

Dove Arturo che ha appena compiuto 20 anni e ha avuto una bimba 5 giorni fa non può giocare a calcio con gli amici o andare nella giungla per i prossimi 15 giorni affinché sua figlia possa crescere forte e non assorbire l’invidia che “Madre Monte” – la selva amazzonica – potrebbe avere nei suoi confronti.

La comunità del 7 di agosto

Passeremo la notte a casa di Joaquín che è il major della comunità.

È orgoglioso di mostrarci come l’erba sia ben tagliata, come non ci siano rifiuti in giro e la plastica venga raccolta e non gettata nel fiume come purtroppo fanno altre comunità.

Chiedo a Joaquín cosa si intenda per “comunità”. Mi spiega che il termine comunità, qui, racchiude il significato sia della condivisione che della proprietà privata. Per capirci non siamo in una comune, ogni abitazione è privata, così come le imbarcazioni, ma se un abitante del villaggio ha bisogno di qualcosa può utilizzare gli oggetti degli altri.

Comunità del 7 di agosto – Amazzonia colombiana

A “7 di agosto” vivono circa 400 persone, metà sono bambini e adolescenti. Le case – palafitte perché d’inverno l’acqua del fiume può causare inondazioni – si trovano tutte lungo un’unica stradina che costeggia il fiume.

Mi armo di macchina fotografica e mi avventuro ad esplorare. Dapprima un campo sportivo dove i ragazzi giocano a calcio sfidando il caldo, poi la piccola scuola elementare con l’abbecedario colorato appeso alla perete di legno verniciato di giallo e infine una chiesa. Per il resto solo abitazioni – tiendas in spagnolo sulle cui pareti qualcuno ha dipinto giaguari, tucani e figure mitiche della tradizione passata.

Faccio amicizia con un gruppo di bambini che gioca dondolandosi con un’altalena e lanciandosi in aria con lunghe liane che pendono da un albero. Non sono abituati a vedere turisti e, tra di loro, io rappresento la novità della giornata.

L’Amazzonia che non ti aspetti e ti sorprende

Passeggiando a piedi nudi sull’erba di un caldo verde acceso della comunità mentre il sole rosso scende all’orizzonte donando amore a chi lo guarda, penso che c’è un qualcosa qui che in qualche modo mi attrae, nonostante avessi aspettative diverse quando sono partito credendo che avrei incontrato personaggi vestiti con costumi tradizionali intenti a praticare danze propiziatorie attorno al fuoco – tutte cose che non esistono da almeno 100 anni ma che la cultura di massa mi aveva inculcato.

Forse è questo stretto contatto con la madre selva e questa energetica pace che ti fa sentire fuori dal mondo, forse il sapere e aver vissuto di trovarsi in un mondo diverso da tutto quello che ho visto finora in questo cuore pulsante pieno di ogni forma di vita o questa atmosfera che in qualche modo ricorda un tempo passato e spensierato e colmo di gioia, di colore, di riti e tradizioni.

Torno a casa consapevole che chi vive qui è riuscito a spodestare le mie credenze di occidentale e mi ha insegnato ad essere un viaggiatore vero, aperto ad accogliere la verità su un mondo che sta cambiando rapidamente ma che conserva comunque una sua dimensione e identità, totalmente affascinato da quanto siano assordanti i cinguettii degli uccelli all’alba e al tramonto, di quanto sento ancora il bisogno di ascoltare i suoni della natura dormendo in una casa sull’albero in mezzo alla giungla e della pacifica bellezza di solcare le acque amazzoniche su una lancia di legno mentre il Rio quasi silenzioso scorre pieno di vita, perché la vita è il bene più prezioso che abbiamo e la più grandiosa scoperta dell’umanità, mentre due farfalle gialle si rincorrono inseguendoci e nel cielo azzurro le nuvole basse rendono alla mia vista il drammatico orizzonte spensierato.

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